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Édouard Manet, Gitana con sigaretta, 1862, Princeton University Art MuseumQualche giorno fa scrissi un articolo per parlare della mia infanzia e la paragonai alle discriminazioni Rom. Come si dice in questi casi: non l’avessi mai fatto! Apriti cielo, solo per aver accostato una situazione di disagio locale con quella dei Rom, mi sono arrivate diverse critiche da più parti. La logica è sempre la stessa: “sono ladri di natura”, “non vogliono integrarsi”, “a loro piace vivere così”. Ad onor del vero i commenti positivi sono stati maggiori di quelli negativi ma mi hanno fatto riflettere, perché anche tra chi aveva commentato positivamente, continuava ad aleggiare qualche dubbio, magari dettato dal subire anni e anni di luoghi comuni.
Il problema è che la tematica non è facile d’affrontare, per capire bisognerebbe studiare la storia che accomuna questo popolo fatto di diverse etnie e diversi usi e costumi. Personalmente negli anni, ho fatto uno studio autonomo, corredato di testimonianze e scritti storici che sono reperibili solo tramite il mondo associativo che li rappresenta, integrando il tutto con una conoscenza diretta dovuta prima al mio vecchio lavoro e poi a veri e propri rapporti di amicizia. In particolare mi ha colpito una domanda di un lettore, che giustamente mi chiedeva: visto che la cultura Rom è basata sul nomadismo e sul lavoro occasionale, cosa incompatibile con la nostra cultura, cosa desiderano i Rom per loro stessi?
Per parlare di Rom bisogna partire almeno dal medioevo, il periodo nel quale fanno la loro comparsa in Europa. Notizie contrastanti cominciano a parlare dei Rom fin dall’anno mille, periodo che presume l’inizio della loro diaspora. Il nomadismo Rom comincia allora, tanto per esigenze economiche ma sopratutto per salvarsi la vita e in questo peregrinare, intorno alla fine del 1400, arrivarono in Europa. Il loro arrivo non fu accolto bene e nei vari paesi furono emanate leggi per renderli schiavi, addirittura se si subiva un torto da un Rom lo si poteva ammazzare prendendosi i suoi beni. Per questo il nomadismo diventò una forma di difesa, come il riunirsi in piccoli gruppi familiari. Tutte queste leggi restrittive hanno avuto vita facile fino alla seconda guerra mondiale, quando i nazisti provarono a sterminarli insieme agli ebrei. Fin dal loro arrivo in Europa, i Rom si sono sempre adattati alle proprie necessità diventando abili in molti mestieri, dall’allevamento all’artigianato ma anche nella musica e nell’arte circense, fino ai più recenti giostrai; tutte cose che gli davano la possibilità di guadagnare senza doversi stabilire in nessun posto fisso. Dopo la seconda guerra mondiale, le cose sono leggermente cambiate, le leggi cominciarono a riconoscere loro qualche diritto e nell’Europa occidentale trovarono una dimensione lavorativa. In Francia gli venne riconosciuta la libertà di vivere viaggiando, nell’Europa dell’est invece vennero integrati nei lavori di stato come nelle cooperative agricole Kolchoz e dal dopo guerra ad oggi riuscirono a trovare una dimensione lavorativa e sociale.
Già in altre epoche storiche sembrava che il problema Rom fosse risolto, invece quando le crisi sociali, politiche ed economiche cominciano ad intensificarsi, il problema rispunta puntualmente e tutto questo perché di fondo non si è mai superato il razzismo che questo popolo ha dovuto e ancora subisce tutt’oggi.
Questo capita perché anche nei periodi di tranquillità sono stati sempre tenuti alla larga da resto della popolazione. In occidente, con i lavori da nomadi e nell’est con la ghettizzazione in luoghi dove difficilmente potevano avere a che fare con la popolazione locale. Dopo la caduta del muro di Berlino e durante le guerre balcaniche, molti di loro per forza di cose hanno dovuto ricominciare il nomadismo, prima per fuggire dalla guerra e poi per mancanza di lavoro. Dopo la tutela dello stato sociale nei paesi ex comunisti, sono diventati come tutti i cittadini che si sono dovuti reinventare un lavoro e un modo per campare. Per loro tutto questo non è stato facile, proprio per la questione razziale.
Oggi molti di loro hanno perso l’identità culturale, la maggior parte non parla nemmeno più la lingua e ha adottato usi e costumi delle nazione dalle quali provengono. Dopo questo piccolo excursus storico posso rispondere alla domanda del lettore. I rom come dimostrato sono nomadi per scappare alle persecuzioni. Negli anni hanno sempre provato ad integrarsi ma quando le cose si sono messe male, i primi a subire soprusi sono stati loro. I Rom per loro stessi vorrebbero quello che vogliamo tutti noi, un lavoro e un po’ di serenità. Molti sono diffidenti nei nostri riguardi ma nemmeno noi abbiamo mai fatto niente per farli ricredere. La parte di loro che vive nell’illegalità lo fa per lo stesso motivo per il quale lo facciamo noi, senza calcolare che tante volte la loro delinquenza viene comprata a basso costo da chi poi li dipinge come diavoli. Molti continuano a vivere in gruppo, magari senza cercarsi una casa, solo perché in gruppo si sentono tutelati. Quelli che comprano il macchinone lo fanno per lo stesso motivo per il quale alcuni di noi si riempiono di rate per comprarsi oggetti inutili che dopo qualche mese non servono a niente. La questione Rom non è altro che la solita lotta che comincia quando ci sono questioni di miseria, e come tale andrebbe affrontata. I campi anche se attrezzati sono solo un luogo dove nascondere un disagio, quando ci renderemo conto di questo, potremmo finalmente risolvere una questione che rimane in sospeso da oramai troppi secoli.

 

Di Marco Manna

Laureato con scarsi voti all'università della strada di Facebook, per campare è costretto a guidare un camion, nella attesa che gli venga riconosciuta la qualifica di reverendo della chiesa Maradoniana. Detta perle di stanchezza a chi non gli lo chiede, cercando saggezza in chi non la possiede.

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